La Germania apre alla Cina

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Successivamente al summit con il Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, la cancelliera Angela Merkel ha dichiarato da Berlino di essere favorevole al riconoscimento dello status di economia di mercato per la Cina.

L’argomento è molto caldo. Se ne sta parlando in questi giorni presso la Commissione europea, che valuta il da farsi. In terra tedesca la valutazione è più che positiva, con i vertici di governo disposti a nuove aperture verso quello che è uno dei loro principali partner commerciali. Tuttavia, ammette la Merkel, rimangono alcuni nodi teorici e tecnici da sciogliere.

Durante le scorse ore la cancelliera ne ha parlato con Li Keqiang, premier cinese. Dal canto suo, il numero uno del governo di Pechino ha chiesto lei un’intercessione presso la Commissione europea così che la Cina possa essere inserita tra le principali economie di mercato. Con questo sigillo, sarebbe più difficile per l’Unione europea imporre restrizioni all’accesso delle merci cinesi mediante dazi anti-dumping.

Il punto è proprio questo. La Cina fa parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) già dal 2001, ma viene accusata da numerose economie di praticare politiche di dumping, ovvero di agevolare le esportazioni di merci al di sotto del loro costo di produzione, in maniera tale da sbaragliare la concorrenza. Gli ostacoli da superare sono tanti. Ad ottobre, in occasione della vita del presidente Xi Jinping a Londra, le associazione dei produttori manifatturiere europee hanno scritto una lettera a Bruxelles, per chiedere che resista alle pressioni per assegnare ai cinesi lo status di economia di mercato, lamentando che ciò contrasterebbe con l’evidenza dei fatti.

I più agguerriti sono i produttori del comparto siderurgico, colpiti dall’eccesso di offerta alimentato dall’offerta abbondante cinese, che da sola è pari alla metà di quella mondiale. Nonostante ciò, la Cina registrerebbe una sovracapacità stimata in almeno 450 milioni di tonnellate di acciaio, che sta provocando un tonfo dei mercati, conseguenza del rallentamento della domanda interna.

 

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