Stress da lavoro

Lo stress è quella particolare condizione di malessere psicologico e fisico provocata dal non sentirsi all’altezza degli incarichi assunti o delle aspettative che hanno gli altri nei propri confronti.

Non si tratta di una vera e propria malattia, ma può diventarlo se si verifica in modo costante, protraendosi per lunghi periodi di tempo.

Ormai in numerose aziende e in molti uffici il lavoro impone ritmi accelerati e responsabilità onerose, faticose da sostenere per i dipendenti che sempre più spesso vivono la loro situazione come una fonte di stress.

In alcuni casi la situazione arriva a degenerare fino a portare a una malattia coronarica. Il lavoratore che si trova in tali circostanze può essere tutelato dall’Inail, dall’assicurazione obbligatoria sul lavoro e dall’azienda presso cui opera.

Riconoscere lo stress da lavoro

Come riconoscere l’insorgere di problemi legati allo stress sul lavoro? Vediamo di seguito in qual fasi si manifesta.

1. Fase di allarme. Il fattore stressante può suscitare nell’organismo un senso di allerta che si manifesta in processi psicofisiologici quali l’aumento del battito cardiaco, l’iperventilazione, la sudorazione eccessiva.

2. Fase di resistenza. Questa fase si vive quando l’organismo si adatta a una situazione stressante e gli indici fisiologici si regolarizzano per reggerei ritmo imposto.

3. Fase di esaurimento. L’organismo non riesce a difendersi più a lungo e inizia a mancare la facoltà di adattamento iniziale.

Lavorare in modo prolungato in situazione stressanti può determinare l’insorgere di malattia psichiche e fisiche. Non è lo stress in sé e per sé ad essere una vera e propria malattia, ma è lo stress che può far scaturire delle malattie di diversa entità.

Quali sono i fattori che determinano stress da lavoro

• Situazioni connesse al ruolo che si ricopre nell’ambiente di lavoro.

• Relazioni interpersonali con colleghi e datore di lavoro.

• Atmosfera lavorativa eccessivamente pressante.

• Faticoso interfaccia con l’esterno, come nel caso di rapporti delicati con determinate tipologie di clienti.

• Percorsi personali poco definiti in un’ottica di carriera.

• Fattori intrinseci al lavoro stesso, come carichi di lavoro inappropriati. In questo caso si parla di stress da lavoro correlato.

Per poter parlare di stress da lavoro è essenziale poter dimostrare che è lo stress vissuto è stato generato in modo diretto ed esclusivo da un fattore lavorativo.

Come intervenire in caso di stress da lavoro

Si possono riconoscere differenti livelli di stress. Appena ci si rende conto di trovarsi in una delle situazioni elencate tra i possibili fattori di stress è importante parlare immediatamente con il proprio datore di lavoro per fare comprendere che cosa si stia vivendo e valutare la possibilità di ridurre il carico di lavoro o facendosi affiancare da qualcuno o rivedendo l’organizzazione in modo da non dover sottostare forzatamente a ritmi eccessivi.

A livello personale, è importante individuare i reali fattori di stress rivolgendosi al medico o a uno psicologo nei casi più difficili.

Per approfondimenti clicca qua.

Assicurazione sanitaria per stress da lavoro

Lo stress da lavoro rientra talvolta tra le malattie professionali.

Stipulare una polizza assicurativa specifica sulla salute può garantire una certa tranquillità e tutelare dai datori di lavoro meno attenti.

FIAIP dalla parte dei cittadini: NO alle trattative “fai da te”

Basta sorprese quando si compra o si affitta casa. Le brutte sorprese e le truffe si evitano solo affidandosi ad un agente immobiliare professionale. Questo il messaggio che FIAIP (Federazione italiana agenti immobiliari professionali) trasmette ai cittadini con la campagna di comunicazione digitale lanciata ad ottobre.

I pericoli che si nascondono dietro le trattative private “Fai da Te” sono raccontati in tre video della durata di 45 secondi ciascuno e pubblicati sui social network. I filmati mostrano in modo chiaro che il professionista è quel valore in più che dà serenità in fase di compravendita o affitto.

Ecco che l’acquisto di una casa, la vendita di un immobile e l’affitto di un locale commerciale, possono trasformarsi in truffe nel momento in cui l’utente avvia una trattativa privata solo perché pensa che così può “risparmiare” e “raggiungere velocemente l’obiettivo”. Tre situazioni diverse ma comuni che comunicano al target i “pericoli” della disintermediazione immobiliare.

L’obiettivo della FIAIP attraverso la compagna di comunicazione è di sensibilizzare l’utente sui rischi a cui possono andare incontro con trattative immobiliari private attraverso il web o mediante finti agenti immobiliari.

La Federazione attraverso una comunicazione in chiave moderna, evidenzia l’importanza di affidarsi ad un agente immobiliare professionale, il quale garantisce sicurezza e serenità al cittadino, oltre a tutelare la trattativa immobiliare, consentendo il buon esito della stessa, senza perdita di denaro.

Fiaip è oggi l’unica Associazione di settore in grado di offrire una vasta gamma di servizi qualificati ai propri associati fornendo sia indirizzi comportamentali che legislativi oltre che adeguata preparazione professionale.

“Fiaip da sempre lavora – ha precisato Gian Battista Baccarini, presidente nazionale Fiaip durante la presentazione della campagna e dei video – per creare un circuito di sicurezza nella compravendita immobiliare, circuito che dovrebbe vedere uniti tutti gli attori della filiera contrattuale. Da sempre lavoriamo per unire le varie figure professionali che accompagnano il cliente nel percorso precontrattuale e in quello dei trasferimenti. Due fasi molto diverse, che però avrebbero bisogno di essere integrate”.

“Chi promette al mercato – ha dichiarato – di fornire valutazioni veritiere, basandosi per le valutazioni immobiliari su algoritmi di cui nessuno conosce i codici, molto probabilmente non sa o non vuole sapere che la valutazione del bene casa è molto complessa, e che ogni unità immobiliare è diversa l’una dall’altra. Massificare le valutazioni può esser utile per le start up del web che vogliono svolgere le funzioni degli agenti immobiliari, ma non certo alle famiglie italiane che nell’acquisto della loro casa, mettono i risparmi di una vita”.

Fiaip è il punto di riferimento per tutti i professionisti del settore immobiliare e per le famiglie italiane. È la principale associazione di categoria del settore riconosciuta dalla Comunità Europea, con 10.106 agenti immobiliari, 500 consulenti del credito, 15.200 agenzie immobiliari, e più di 45mila operatori del settore (tra agenti immobiliari, turistici, consulenti del credito, promotori immobiliari, amministratori e gestori di beni immobili).

La presenza capillare su tutto il territorio nazionale, operata attraverso 20 sedi regionali e 105 collegi provinciali e interprovinciali, rappresenta per gli associati un punto di informazione e di consulenza professionale nonché di difesa sindacale degli interessi della categoria.

 

Brexit no deal: Geneve Invest analizza le conseguenze sui mercati finanziari

 Il 29 marzo 2019 il Regno Unito, in virtù della Brexit, sarà definitivamente fuori dall’Unione Europea. A sei mesi dall’uscita un punto d’incontro fra governo britannico e Bruxelles non è ancora stato trovato ed in molti cominciano a considerare sempre più possibile l’ipotesi di un cosiddetto “no deal”, vale a dire una chiusura delle trattative senza accordo. “Una prospettiva di questo genere – spiega Neri Camici di Geneve Invest – sarebbe uno shock ancora più pesante di quello già vissuto dai mercati nel giugno 2016, quando la Gran Bretagna votò per distaccarsi dall’Unione Europea, e le Borse registrerebbero grandi manovre su valute, azioni e obbligazioni. Innanzitutto – continuano da Ginevra gli esperti di Geneve Invest, società indipendente di gestione patrimoniale – la sterlina britannica soffrirebbe un crollo verticale, almeno a giudicare dall’andamento che il pound ha tenuto nel corso degli ultimi 18 mesi: ogni volta che si intravede la possibilità di una Brexit più controllata, la moneta inglese sale di valore; al contrario, ad ogni accelerazione per un “no deal”, corrispondono perdite di punti molto consistenti. La sensazione – chiudono il ragionamento da Geneve Invest – è che, continuando con questo ritmo, la sterlina scenderà di oltre il 10% dai livelli attuali nei prossimi mesi, arrivando, secondo le stime non solo nostre, ma di tutti gli analisti internazionali più importanti, sino a un minimo di $ 1,15 entro la fine di marzo: non dimentichiamo che il giorno dopo il referendum, nel 2016, la sterlina perse addirittura l’8% nei confronti del dollaro.”

A partire da queste valutazioni, non è difficile immaginare come l’FTSE 100, l’indice azionario delle 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange, che gode di una relazione inversa rispetto alle prestazioni della valuta, aumenterebbe a livelli record. Una sterlina debole significa un mercato azionario forte, dal momento che l’indice FTSE 100 è sbilanciato verso aziende che operano in verità fuori dal contesto monetario britannico: compagnie petrolifere e giganti farmaceutici, ad esempio, compongono circa i due terzi di tutti i ricavi delle società incluse nell’indice e che ricevono ricavi dall’estero. “Secondo le stime più credibili – spiegano ancora dalla società di gestione patrimoniale Geneve Invest – l’FTSE 100 potrebbe facilmente andare ben oltre la barriera degli 8.000 punti in caso di Brexit no-deal, con un rialzo compreso fra il 5 e il 10% rispetto alle medie dei primi nove mesi del 2018”.

Più complessa l’analisi per quanto riguarda il mercato obbligazionario. Il rendimento dei titoli di stato inglesi potrebbe infatti scendere sino allo 0%, una percentuale legata non tanto alla percezione delle obbligazioni britanniche come sicure, ma alle mosse cui sarebbe costretta la Banca d’Inghilterra. “Dopo aver aumentato i tassi di interesse due volte da novembre 2017, raggiungendo lo 0,75%, – spiega in chiusura Neri Camici di Geneve Invest – l’istituto potrebbe infatti trovarsi nella situazione di dover tagliare i tassi allo 0%, oltre a programmare almeno 100 miliardi di sterline di investimenti in quantitative easing, per mantenere il sistema in equilibrio, il che, appunto, farebbe crollare i rendimenti dei gilt, le obbligazioni di stato.”

La speranza, inevitabilmente, è che Theresa May riesca a trovare un accordo e non ceda all’ala forte del partito conservatore, sempre più decisa a rischiare il tutto per tutto e ad uscire dall’Unione Europea sbattendo la porta.

Cos’è e a cosa serve l’Assicurazione Donazione

 A cosa serve l’assicurazione donazione.
Ricevere una donazione o ereditare un bene è da sempre considerata una fortuna, tuttavia, se qualcosa non va nel verso giusto, c’è il rischio concreto di dover restituire quanto ricevuto o di dover risarcire eventuali eredi che decidono di rivendicarne la proprietà.
Questo vuol dire che, qualora si ricevesse in donazione un immobile, prima di affrontare le spese relative alla sua ristrutturazione o prima di procedere alla sua vendita, è opportuno verificare che tutto sia in regola e non ci sia il rischio di dover restituire in futuro quanto ottenuto.
Tale controllo può però richiedere un tempo drammaticamente lungo.
Prima che la burocrazia faccia il suo corso possono trascorrere anni e, bloccare un patrimonio consistente per tutto il tempo necessario, può rappresentare un problema serio.
Chi infatti è considerato il proprietario di un immobile ha la responsabilità fiscale di versare le imposte dovute e le responsabilità previste dalle normative per quel che riguarda le opere di manutenzione e messa in sicurezza dello stesso.
Ecco perché l’assicurazione donazione è considerata uno strumento prezioso per utilizzare fin da subito ciò che è stato donato e mettersi al riparo dai possibili rischi.

Quando è necessaria l’assicurazione donazione
L’assicurazione donazione è necessaria quando si pensa che ci siano soggetti che possano tentare di rivalere la loro proprietà parziale o totale sul bene donato.
Ci sono diversi casi in cui ciò può avvenire. Un tipico esempio è rappresentato da un immobile che viene donato e del quale i legittimi eredi rivendicano poi la proprietà.
Occorre infatti sapere che, nel nostro ordinamento giuridico, non sempre è possibile lasciare il proprio patrimonio a chi si desidera. Chi esprime le ultime volontà deve tenere conto delle leggi vigenti e ricordare che, in caso di morte, il coniuge e i figli hanno diritto ad una parte del patrimonio lasciato dal defunto a prescindere dalle sue decisioni (secondo la cosiddetta quota di legittima).
Qualora si ricevesse in donazione un immobile e gli eredi di diritto si rivalessero su di esso partirebbe un iter burocratico a valle del quale potrebbe accadere di dover restitutore l’intero immobile o comunque di dover risarcire con il proprio patrimonio gli eredi.
In casi come questo stipulare una polizza assicurativa può senza dubbio convenire.

Che cosa copre l’assicurazione donazione?
Il bisogno di stipulare un’assicurazione donazione nasce dall’idea che un soggetto, possa far valere i suoi diritti sul bene donato. Qualora il suo diritto venisse riconosciuto, il beneficiario della donazione dovrà consegnare l’immobile o, in alternativa, versare un risarcimento economico.
Se ad esempio chi si rivale sull’immbile aveva diritto ad una parte pari al 50% dello stesso potrà essere soddisfatto mediante il risarcimento di un importo pari al valore della metà dell’immobile stesso.
Per chi ha stipulato un’assicurazione donazione il versamento di questo importo sarà a carico della compagnia assicurativa.

Ma a chi è rivoltal’assicurazione donazione? Chi può stipularla?
Questo tipo di polizza può essere sottoscritta da 4 soggetti:
– chi dona il bene,
– colui che riceve la donazione,
– chi decide di acquistare un bene donato,
– l’istituto di credito che concede in prestito una somma per l’acquisto dell’immobile.
É importante sottolineare che tutti i soggetti citati possono essere considerati ‘a rischio’.
Se infatti per chi dona il bene l’assicurazione è importante per far sì che le sue volontà siano rispettate, per gli altri è fondamentale al fine di non dover risarcire eventuali aventi diritto.
Bisogna infatti precisare che, secondo la legge italiana, chi vanta dei diritti su un immobile può rivalersi su chi ha ricevuto il bene in donazione, ma se questi non fosse in grado di restituire il bene o di risarcirlo sarà chi ha comprato l’immobile a dover rispondere.
Ecco perché l’assicurazione è indispensabile anche per chi acquista un bene donato.

Quali sono i costi medi di un’assicurazione donazione?
Naturalmente i costi variano in funzione del valore del bene assicurato e possono dipendere da una moltitudine di altri fattori per cui fornire delle cifre è piuttosto difficile.
In maniera molto orientativa si può dire che mediamente un’assicurazione donazione prevede un premio pari al 3-4 per mille del valore del bene assicurato.
Salvo diversi accordi il premio viene versato in un’unica soluzione. L’importo assicurato sarà quello del valore commerciale del bene donato. Tra le condizioni della polizza può essere stabilito che tale valore venga rivalutato nel tempo.

Quanto dura una polizza donazione
La durata di questa polizza è pensata per proteggere chi la stipula fin quando sussiste il rischio che qualcuno rivendichi i beni donati. Per questo motivo ha una durata che copre i tempi di prescrizione entro cui eventuali aventi diritto possano richiedere la restituzione di quanto donato.

Adsl, trova l’offerta migliore

Lo scorso mese è stato segnato da rincari significativi sulle bollette relative alle utenze domestiche, come luce, gas e telefonia. Soprattutto quest’ultima è stata protagonista di numerose rimodulazioni contrattuali.

Tim e Vodafone hanno deciso, infatti, di rivedere i piani tariffari principali e applicare a questi un sovrapprezzo pari a 2-3 euro in più al mese. Tra le offerte coinvolte Tim Senza Limiti Internet e le tariffe Vodafone dedicate alla fibra ottica.

Molti utenti, coinvolti in questi rincari, hanno deciso di cambiare tariffa e nei casi più estremi addirittura cambiare operatore, per evitare di far fronte agli ingiusti aumenti.

Un aiuto importante per questi utenti alla ricerca di una nuova tariffa è ComparaSemplice.it, un famoso comparatore online che mette a confronto le offerte più convenienti tra le tariffe migliori proposte dai principali operatori telefonici in Italia.

Ricordiamo che sono proprio le utenze domestiche ad avere il maggior peso sul bilancio economico mensile di ogni famiglia, che va sempre alla ricerca del risparmio. Per questo motivo più di 2 milioni di italiani si sono affidati a ComparaSemplice.it, grazie al quale si è potuto stimare un risparmio in bolletta pari a 250 euro di spese all’anno. 

Il risparmio a portata di click

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Per le offerte adsl propone servizi mirati dedicato ai privati e alle aziende. L’utilizzo di Comparasemplice.it è molto facile e intuitivo. Per consultare le tariffe adsl migliori è necessario compilare un form nella sezione del sito dedicata, in cui è possibile specificare dati anagrafici, se si è un utente privato o un’agenzia, quanto si vuole spendere al mese e il comune di residenza.

Una volta inseriti i dati e inviati il sistema è pronto per elaborare le offerte più indicate alle proprie esigenze. Ogni offerta conterrà nello specifico il costo mensile, i servizi e anche la verifica della copertura.

I servizi offerti da Comparasemplice.it

ComparaSemplice.it è uno strumento di comparazione a 360°. Il servizio di assistenza supporta l’utente in ogni fase della scelta della tariffa, anche successivamente all’attivazione dell’offerta.

Per Comparasemplice.it lavorano più di 200 professionisti del settore che ogni giorno analizzano le offerte dei diversi operatori per garantire ai propri clienti un maggiore risparmio e il massimo della professionalità. Gli operatori sono disponibili anche telefonicamente o che tramite chat attiva sul sito del comparatore.

Sicurezza e privacy al 100%

In seguito allo scandalo di Cambridge Analytics sulla protezione dei dati e alla recente normativa sulla privacy, ComparaSemplice.it garantisce ai propri utenti sicurezza e privacy al 100%. Grazie a questo sistema è esclusa qualsiasi cessione dei propri dati a terzi, così da poter utilizzare ComparaSemplice.it in totale sicurezza senza avere il timore di finire coinvolti in analisi di mercato, telemarketing e spam di altro genere.

Geneve Invest analizza la guerra commerciale Usa vs Cina

 Abbiamo contattato Geneve Invest per avere un punto di vista tecnico sulla guerra commerciale che ormai da alcuni mesi vede Cina e Stati Uniti battagliare sui dazi imposti alle merci scambiate fra i due paesi. Ad oggi, infatti, non vi è all’orizzonte una soluzione alla battaglia imbastita dal presidente USA Donald Trump, mentre i primi effetti concreti delle misure cominciano a manifestarsi in maniera concreta non solo nei due paesi di riferimento, ma anche su un’economia globale che patisce i 250 miliardi di dollari di imposte cui oggi sono soggetti enormi percentuali di prodotti esportati fra Cina e Stati Uniti.

 Le tariffe agiscono come una tassa fissa sulle merci che entrano nei due paesi, il che significa che i beni in viaggio dagli Stati Uniti alla Cina, e viceversa, vengono colpiti, oltre che dalle normali tassazioni, anche da un aggiuntivo dazio del 25%. Il risultato di questo meccanismo è che i prodotti toccati dalla nuova tassazione diventano più costosi, il che, in teoria, dovrebbe spingere le aziende statunitensi, e quelle cinesi, ad acquistare merci di altra provenienza.

 “Gli Stati Uniti sono, fra i due paesi, quelli che potrebbero avere più da perdere – spiegano da Geneve Invest – dato che i prodotti cinesi rappresentavano, prima dell’inizio delle ostilità, circa il 21% di tutte le importazioni in arrivo negli Stati Uniti nel 2017. La Cina, peraltro, è un paese chiave per le importazioni di tantissimi stati americani: soltanto Nord Dakota, Lousiana e Delaware non vedono la Cina fra i primi cinque paesi delle loro importazioni. La scelta di Trump va nella direzione di contrastare il deficit commerciale fra Washington e Pechino – spiegano ancora gli esperti di Geneve Invest, società che lavora nell’ambito della gestione patrimoniale in modo indipendente – ma non è detto che il protezionismo sia la soluzione corretta: il rischio è che i dazi imposti dagli Stati Uniti vengano per lo più pagati da società e consumatori americani, mentre la Cina si sta vendicando imponendo tasse che non disturbano troppo le aziende locali. Circa il 60% delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti – concludono il passaggio da Geneve Invest – sono prodotte in fabbriche di proprietà non cinese. Molte producono beni personalizzati per produttori americani, come ad esempio router internet, apparecchi a LED e motori per barche. Ciò significa che le tariffe imposte dall’amministrazione Trump alla Cina interessano effettivamente molte società americane (ed europee) che possiedono fabbriche in Cina”.

 Da sottolineare vi è anche come gran parte di ciò che gli Stati Uniti importano dalla Cina contiene elementi creati in altre località, inclusi gli Stati Uniti stessi. Un iPhone importato dalla Cina, ad esempio, integra un display realizzato in Corea del Sud, un chip in arrivo dal Giappone, un design e contenuti di programmazione statunitensi. Quindi, per ogni dollaro di vendite perso da una società cinese, si ha in realtà un impatto inferiore a quello stesso dollaro, sull’economia cinese, visto che bisogna redistribuire la perdita fra diverse nazioni. Nei computer e nell’elettronica, che rappresentano la maggior parte delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti, il valore cinese aggiunto in ciascun dollaro di importazioni è di circa 50 centesimi. Di conseguenza, è improbabile che l’effetto negativo delle tariffe sulla produzione cinese sia sufficientemente ampio da avere un impatto significativo sulle pratiche commerciali della Cina. Inoltre, con l’intensificarsi della guerra commerciale, la leadership cinese sembra aver approfondito il proprio impegno nei confronti delle catene di approvvigionamento internazionali, scatenando dunque la reazione opposta rispetto all’obiettivo dell’amministrazione Trump, il cui unico risultato è al momento quello di isolare i produttori americani.

 “Alla fine di giugno, Pechino ha reso più facile per gli investitori stranieri entrare nei settori bancario, agricolo, automobilistico e dell’industria pesante – sottolinea Neri Camici di Geneve Invest – e dopo i dazi annunciati dagli Stati Uniti a fine luglio, la Cina ha ribadito l’intenzione di aprire ulteriormente la propria economia. L’esempio più nitido è legato a Tesla, la società automobilista di auto elettriche e a basso impatto ambientale, che recentemente è diventata la prima società del settore non cinese ad ottenere l’autorizzazione a operare senza un partner locale, con un accordo per costruire una fabbrica interamente indipendente, a Shangai, per produrre veicoli elettrici. Queste mosse inviano un segnale forte agli investitori, e spiegano che la Cina rimane impegnata nei confronti dei suoi partner internazionali, anche nel bel mezzo di una guerra commerciale. Certo non è tutto rose e fuori – conclude Camici da Geneve Invest – la Cina è infatti ancora impegnata in politiche che minano l’equità nel sistema commerciale mondiale e continua a non rispettare gli impegni di apertura di settori specifici alla partecipazione straniera.”

Geneve Invest: “con Manley alla guida di FCA il marchio Jeep diventerà centrale”

 “La sensazione è che il marchio Jeep acquisterà sempre più peso nelle dinamiche industriali del gruppo FCA” spiega da Ginevra/Lussemburgo/Milano Neri Camici di Geneve Invest, società di gestione patrimoniale indipendente che abbiamo interpellato per analizzare il momento della grande casa automobilistica italiana, alla prese con l’avvicendamento forzato fra Sergio Marchionne, scomparso improvvisamente poche seettimane fa, e Mike Manley.

Inglese, 54 anni, Manley è stato a capo del marchio Jeep di Fiat Chrysler Automobiles NV sin dal 2009, e il suo lavoro è stato fondamentale per l’implementazione di un piano aziendale che ha visto raddoppiare i profitti del gruppo nei primi cinque anni di operazioni. L’agenda di Manley è certamente molto fitta, a partire dalla sfida di rilancio dei marchi di lusso Alfa Romeo e Maserati, sino alla sbarco definitivo di Jeep in Cina e al progetto, già molto in ritardo, di sviluppo dell’auto elettrica.

“Quello delle automobili a basso impatto ambientale – continuano da Geneve Invest – è probabilmente l’obiettivo più duro e decisivo sul quale il nuovo amministratore delegato di FCA dovrà lavorare. Lo scenario sembra comunque positivo, soprattutto perché l’azienda ha deciso di operare una scelta di grande continuità: Manley era già stato incaricato di elaborare il piano quinquennale che prevede un salto nelle vendite del 40 per cento, già da quest’anno, per raggiungere il traguardo stabilito da Marchionne per il 2018. Il problema principale da affrontare per Manley sarà quello di riuscire a mantenere FCA a galla, nonostante, essendo la settima più grande casa automobilistica del mondo, la società potrebbe non avere le dimensioni necessarie per competere in un settore che sta virando in maniera decisa verso guida autonoma ed mezzi elettrici, due tecnologie rispetto a cui non solo il gruppo è in grande ritardo, ma per le quali sarà necessario prevedere investimenti massicci, la cui portata potrebbe non essere troppo ampia, rispetto alla forza di FCA”.

FCA dovrà difendersi soprattutto dall’assalto industriale che le altre case automobilistiche potrebbero decidere di portare: più volte negli ultimi mesi si è parlato di un interesse, sempre smentito, del costruttore sudcoreano Hyundai Motor Group. Si tratta di indiscrezioni che, nonostante la mancanza di conferme, ciclicamente interessano il gruppo italiano già da diversi mesi e che sono legati alla capacità di Sergio Marchionne di costruire un brand ritornato attraente sul mercato internazionale. La Jeep Wrangler e il marchio Jeep in generale sono oggi un successo assoluto in tutto il mondo, così come, allo stesso modo, Fiat è ritornato in maniera prepotente a giocare un ruolo da top player con modelli come la Fiat 500, un successo straordinario non soltanto in termini di vendite, ma anche di branding.

“Manley, e con lui tutto il gruppo FCA, si misurerà principalmente con l’obiettivo di aumento delle vendite che lui stesso, insieme a Marchionne, ha delineato nei mesi scorsi – chiudono gli esperti di Geneve Invest – un piano molto ambizioso e che ha l’obiettivo di portare il profitto operativo della società a quota 15 miliardi di dollari entro il 2022, aumentando i margini di profitto globali fino all’11% entro il 2022, dal 6,3 per cento del 2017”.

Come cambiare Bitcoin in euro

Sapete come convertire Bitcoin in Euro?

Obiettivo: convertire Bitcoin in Euro. Alcuni post pubblicati in precedenza ci hanno permesso di conoscere meglio le possibilità offerte dai Bitcoin, le più antiche e diffuse monete virtuali del mondo online. Abbiamo infatti visto che con i Bitcoin è possibile compiere una serie di operazioni possibili anche con le valute di tipo fisico e tradizionale. Oggi infatti è possibile:

Geneve Invest analizza la situazione economica in Turchia

 “Per capire le condizioni economiche della Turchia bisogna conoscere bene il contesto politico”, spiegano subito da Geneve Invest. Il tasso di inflazione annuale turco è salito a maggio 2018 al 12,2% rispetto al 10,9% di aprile, certificando definitivamente la situazione di grande difficoltà della lira turca, oggi uno dei temi più complessi da affrontare per l’economia dello stato eurasiatico. La banca centrale è intervenuta per arrestare il calo della moneta nazionale, che negli ultimi 12 mesi ha perso più di un quinto del suo valore rispetto al dollaro, portando i tassi d’interesse al livello record del 16,5%, con un aumento di 300 punti base, senza però risolvere i problemi strutturali di una Turchia che patisce la politica di “crescita a tutti i costi” del presidente, appena rieletto, Recep Tayyip Erdogan, che ha gonfiato a dismisura l’economia con  continui incentivi statali. Se è vero che il prodotto interno lordo ha registrato un aumento del 7,4% durante il primo trimestre dell’anno precedente, superando la stima media del 7%, bisogna però tenere in conto che sia i consumatori che i produttori sono stati più pessimisti nel secondo trimestre, soffrendo per il calo nel programma di incentivi statali, che si sta allentando.

“Questa dinamica – spiegano gli analisti di Geneve Invest, società di gestione patrimoniale con sede a Lussemburgo e Ginevra – è legata alla visione economica, decisamente non convenzionale, di Erdogan, secondo cui sono i tassi di interesse più alti a guidare a guidare l’inflazione, e non il contrario. Per questo, sino ad oggi la banca centrale ha avuto poco spazio nella gestione del fenomeno, e oggi, con una lira debole, la crescita prevista è inevitabilmente più bassa rispetto a quanto immaginato, intorno al 4% secondo i dati dell’istituto di statistica turco, contro il 7.4 del 2017 – continuano da Geneve Invest”.

Ad oggi i livelli del debito pubblico turco, il 28% del PIL, rimangono ben al di sotto della media europea, ma la Turchia dipende pesantemente dal capitale straniero. Il suo disavanzo delle partite correnti, uno dei più grandi al mondo, si è attestato al 5,6% alla fine del 2017, rispetto al 3,8% dell’anno precedente.

“Il debito estero del paese, sia privato che pubblico – analizza Neri Camici di Geneve Invest –  è quasi raddoppiato dal 38% del PIL del 2008 a quasi il 70% di oggi, sino a raggiungere la cifra di 450 miliardi di dollari, cioè a dire il più grande debito estero del mondo rispetto al PIL per un’economia emergente, con il settore privato che rappresenta il 70% di questo debito. Anche se queste vulnerabilità non sono nuove – approfondisce Camici di Geneve Invest, che, fra le altre cose, si occupa di investimenti a tasso fisso – manca una visione strutturale chiara per l’economia turca, che ha subito in maniera pesantissima l’inasprimento della politica monetaria negli Stati Uniti, con un calo di oltre il 18% rispetto al dollaro da inizio anno e una perdita di valore complessiva che, dal 2013, supera il 50%. Sono tutte cose collegate fra loro – concludono da Geneve Invest – in quanto è proprio a partire dalle difficoltà della lira turca che le società locali hanno grandi difficoltà a fronteggiare il debito estero, di cui si spiegava poco sopra la grande entità.”

Il Fondo Monetario internazionale stimava che la crescita economica della Turchia sarebbe scesa al 4,3% quest’anno, dal 7% nel 2017. Tuttavia, è importante notare che questa proiezione è stata fatta prima che il paese si registrasse il picco inflazionario vissuto a partire dall’aprile scorso. Per questo, più recentemente, Moody’s ha abbassato le sue previsioni per il PIL della Turchia al 2,5%, un calo che renderebbe la situazione economica turca ancora più complessa.

Trading online: cosa serve sapere a chi comincia questa avventura

 Il mondo del trading online è un capito abbastanza ampio, che comprende numerosi metodi per fare affari in rete, approfittando dei broker che ci propongono affari per quanto riguarda le opzioni binarie o altri tipi di investimento. Per cominciare è di solito sufficiente avere a disposizione qualche centinaio di euro e una connessione a internet; questo solo per aprire un account e investire i propri soldi in modo del tutto casuale. Chi ha fortuna può iniziare subito a guadagnare, chi ne ha di meno quasi certamente perderà qualche centinaio di euro in pochi giorni, senza neppure capire cosa sia successo. Questo perché anche se per attivare un conto di investimento per  il trading online è una cosa semplice e immediata, lo stesso non si può dire per quanto riguarda ottenere dei guadagni. Meglio quindi prepararsi seriamente, avendo la consapevolezza che si stanno per investire dei soldi veri.

Quanto investire nel trading online
Ovviamente molto dipende da quanto si ha a disposizione, ma è importante capire che nel trading online si possono ottenere, da ogni investimento, guadagni importanti, anche vicino all’80% di quanto investito. Questo ci consente di evitare di esporci per cifre elevatissime: anche con solo 1.000 euro potremo ottenere guadagni importanti. Se si è alle prime armi è necessario prevedere una disponibilità di almeno 1.500-2.000 euro, in quanto quasi sicuramente qualche affare non andrà a buon fine. Avere un certo capitale all spalle ci permetterà di non dover desistere dopo breve tempo in quanto rimasti senza fondi. Sono purtroppo tanti coloro che cercano di cominciare a guadagnare con solo 100 euro a disposizione, che vengono traditi dai primi investimenti e rinunciano, arrivando a pensare che il trading online sia una sorta di truffa. Per evitare questo tipo di comportamento è importante prevedere qualche perdita iniziale, senza andare nel panico e senza rinunciare al primo fallimento.

I primi passi del trader di successo
Con il trading online e le opzioni binarie si può guadagnare e questo è dimostrato anche dai numerosi trader di successo che ci raccontano le loro storie sulla rete. Il modo migliore per cominciare è quello di partire dalla formazione, dalla conoscenza di questo mondo del tutto particolare. Anche chi ha una certa dimestichezza con gli investimenti in senso generale dovrà infatti immergersi in un mondo a sé stante, che ha delle regole proprie e per il quale serve avere una buona preparazione per quanto riguarda la prassi quotidiana, ma non solo. Il trading online ci consente di guadagnare solo se una buona percentuale degli affari in cui ci imbattiamo va a buon fine. Per ottenere questo scopo è importante, di solito, concentrarsi su un ristretto numero di asset, in modo da conoscerli al meglio e da sapere quali siano gli eventi che ne modificano le quotazioni. Il vantaggio del trading online sta nel fatto che si può guadagnare anche quando l’asset su cui stiamo investendo perde di valore sul mercato; si tratta infatti non di acquistare un bene, ma di fare delle previsioni su quali saranno le quotazioni nel corso del tempo.

Un buon broker
Un altro elemento fondamentale per avere successo nel trading online consiste nell’avere a disposizione gli strumenti giusti. Questo è possibile solo cominciando a fare affari approfittando dei servizi di un sito di brokeraggio di alto livello. Le peculiarità di un buon broker sono varie, a partire dall’ampia offerta di asset su cui investire e dalla possibilità di fare affari a qualsiasi ora del giorno e investendo la cifra che si desidera, molto bassa o elevatissima a seconda dei casi. Importante è anche che ci metta a disposizione una piattaforma di trading intuitiva e facile da utilizzare.