Google Italia deve pagare 96 milioni di euro di tasse

 Google è nel mirino del fisco. Da un lato la Germania che propone una legge per il pagamento dei diritti d’autore per tutti i contenuti messi in rete dai motori di ricerca (tra i quali compare anche Google, ovviamente) in difesa del diritto d’autore e della stampa cartacea, dall’altra il ministero dell’Economia e delle Finanze  che, rispondendo all‘interrogazione presentata da Stefano Graziano, deputato del Pd, risponde:

Nel quinquennio 2002-2006 Google non ha dichiarato reddito imponibile per oltre 240 milioni di euro, che sono pari a 96 milioni di euro di iva da versare al Fisco italiano.

L’obiettivo dell’interrogazione parlamentare era quello di capire quali fossero le decisioni e le misure che il governo italiano ha intenzione di prendere contro tutte le grandi aziende internazionali che sfruttano le lacune delle leggi tributarie dei vari paesi per non versare quanto dovuto in base alla loro capacità contributiva.

Il problema fiscale, infatti, non riguarda solo Google, ma tutte le aziende e i gruppi che operano nel settore dell’hi-tech che

sfruttando ingegnerie finanziarie offerte da evidenti lacune nella normativa nazionale e internazionale, riescono a non pagare le tasse nel nostro paese. Per contrastare efficacemente fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva aventi scala transnazionale, sta procedendo, in base a un primo screening delle risultanze dell’attività di tutoraggio dei grandi contribuenti, a una selezione di posizioni che possano dar luogo a una mirata attività di controllo fiscale nei confronti dei gruppi multinazionali attivi nel settore dell’elettronica e dell’e-commerce e le cui strategie fiscali sono oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale

Da parte sua Google, nelle cui sedi si stano facendo ulteriori ispezioni,

rispetta le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui opera e siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana. Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi.

Cameron provoca: conviene detassare i ricchi

 Il governo Cameron lancia una forte provocazione: abbassiamo le tasse ai ricchi. Esattamente l’opposto di quanto detto ieri da Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, secondo il quale, invece, i ricchi dovrebbero pagare molte più tasse se si vuole arrivare ad una vera ristrutturazione dell’economia.

L’editoriale di Buffet, nel quale il miliardario rilancia il suo appoggio alla politica di Obama, ha fatto il giro del mondo, così come anche la provocazione del governo Cameron, che però, per raggiungere lo stesso scopo, passa per la strada opposta. Infatti, stando a quanto dichiarato dal ministro del Tesoro inglese George Osborne, l’aumento delle tasse voluto da Gordon Brown (aumento dell’aliquota fiscale dal 40 al 50%) ha fatto scappare i ricchi dalla Gran Bretagna con una conseguente perdita per l’erario di 7 miliardi di sterline. La soluzione è quella di riportare l’aliquota al valore iniziale, passando dall’attuale 50 al 45% per poi tornare di nuovo al 40% quando l’economia si sarà ristabilita.Una tesi che Cameron, conservatore, condivide anche con l’ex premier laburista Blair. Entrambi concordano sul fatto che il paese non ha che da guadagnare dagli incentivi per i ricchi. Detassare i grandi patrimoni vuol dire che saranno in molti a riportarli sul territorio inglese, quindi, le tasse più basse saranno compensate da un maggior numero di contribuenti.Ma non solo l’erario beneficerà di questo. Sarà tutta l’Inghilterra a beneficiarne, perché i miliardari che torneranno in patria, con le loro attività e i loro capitali, creeranno un indotto da miliardi di sterline.

Mutuo Fisso Last Minute 2 di Banco Popolare

 Il Gruppo Banco Popolare offre un prodotto in promozione per tutti i nuovi clienti che aderiscono all’offerta tramite il portale d’intermediazione MutuiOnline. Si tratta di un mutuo a tasso fisso che in questo periodo d’incertezza sulla ripresa economica può anche far gola agli aspiranti mutuatari.

Il mutuo in questione è rivolto a coloro alla fine del piano d’ammortamento scelto non abbiano ancora compiuto 80 anni. I soldi erogati devono essere usati per l’acquisto della prima casa. La rata, pur essendo un tasso fisso, risulta più leggera per i primi 12 mesi in cui il tasso è appunto del 4,75%. Dal tredicesimo mese in poi, invece, si passa al tasso fisso al 5,25%.

L’offerta è valida per tutte le richieste di mutuo che sono caricate in filiale entro il 31 dicembre 2012 per erogazioni e rogiti stipulati entro il 28 febbraio 2013.

Gli aspiranti mutuatari che ambiscono a diventare anche nuovi clienti del Gruppo Banco Popolare devono considerare tra le spese quelle di istruttoria, quelle periodiche e l’imposta sostitutiva. Dal punto di vista assicurativo è prevista la copertura obbligatoria, vale a dire la polizza incendio del fabbricato per un importo almeno uguale all’importo del mutuo.

Anche le spese per l’assicurazione vanno a contribuire alla definizione del TAEG. L’ipoteca proposta è al 200 per cento e questo potrebbe influire sul costo complessivo del mutuo. L’offerta resta comunque interessante per la media dei mutui del periodo.

Accordo sulle nuove regole per le agenzie di rating

 La comunicazione dell’avvenuto accordo è arrivata solo in tarda notte: un negoziato lungo e difficile, durato mesi, che ha mosso dei grandi interessi finanziari, non solo quelli delle lobby americane, ma anche quelli dei singoli stati che si trovano, spesso, vittime di valutazioni sul rating che aggravano delle situazioni già critiche di per sé.

Il Parlamento Europeo, nonostante la soddisfazione per l’accordo raggiunto, ritiene che il

molto resta ancora da fare per tenere a freno l’attività delle agenzie di rating le cui valutazioni possono essere non ben fondate e essere pubblicate al momento giusto con il risultato che si aggravi la crisi finanziaria. E’ necessaria più concorrenza.

Questi i pilastri fondamentali su cui si basa il regolamento che le grandi agenzie di rating (quelle che vengono chiamate il trigono, Standard&Poor’sMoody’s e Fitch): trasparenza, introduzione di un limite massimo alla rivelazioni (massimo 3 giudizio all’anno), riduzione della dipendenza dalle valutazioni esterne, maggiore concorrenza e introduzione della responsabilità civile.

Le agenzie di rating non potranno pubblicare più di tre giudizi non richiesti all’anno che potranno essere pubblicati il venerdì dopo la chiusura dei mercati e almeno un’ora prima dell’apertura. Avranno voce in capitolo anche le agenzie più piccole, che interverranno in caso di giudizio discordante del trigono.

Inoltre, è stato deciso che le finanziarie non tengano solo conto dei rating delle agenzie per la valutazione della solvibilità, con un sistema interno e indipendente dalla grandi agenzie.

 

 

L’Argentina avrà più tempo per pagare i suoi Bond

 Le richieste di Thomas Griesa, giudice distrettuale di Manhattan, che imponevano all’Argentina di pagare entro il 15 dicembre 1,33 miliardi di dollari ai detentori di bonds che non hanno accettato le ristrutturazioni dei titoli del 2005 e del 2010, sono state rigettate dalla corte di appello.

Quindi nulla di fatto per il fondo di garanzia richiesto da Griesa. Un fondo che avrebbe messo l’Argentina in serio rischio di default tecnico, in quanto, nella stessa data, il governo avrebbe anche dovuto pagare circa 3,3 miliardi di dollari ai detentori dei bond ristrutturati.Il ricorso è stato presentato al tribunale di New York dai fondi speculativi americani, per avere il rimborso del valore nominale dei bond (20/25 centesimi per dollaro) acquistati prima del default del 2001. Il giudice Griesa, che da più di dieci anni si occupa della questione, si augurava una decisione diversa, ma il governo del paese, insieme a tutti i detentori di bond ristrutturati, che, se fosse passata la sentenza di Griesa, avrebbero perso il loro investimento, hanno deciso di correre ai ripari.

La decisione è rimandata al prossimo febbraio, termine entro il quale l’Argentina dovrà presentare la sua linea difensiva alla corte d’appello degli Stati Uniti. Il presidente argentino Cristina Fernandez de Kirchner si è detto soddisfatto della decisione dei supremi giudici, anche se la questione è tutt’altro che risolta.

 

JPY, USD ed EUR: in che rapporti sono?

 Qual è la moneta più forte tra lo yen giapponese, l’euro del Vecchio Continente e il dollaro americano? Per rispondere a questa domanda possiamo dare un’occhiata alla giornata di scambi, nel settore Forex, che c’è stata ieri.

Tutto depone a favore dello yen.

La moneta giapponese sale nei confronti del dollaro che perde circa lo 0,5 per cento contro lo yen e sale anche dello 0,8% rispetto all’euro. Il cambio USD/JPY si assesta sugli 87.70 e quello EUR/JPY è scambiato a 105.60. Tutta la situazione sembra sia da attribuire alla paura del fiscal cliff che influisce sulle sensazioni degli investitori, oppure alla decisione europea di rimandare l’incontro FOMC.

Lo yen, quindi, si è configurato come un porto franco in questo momento particolare per gli investitori che non vogliono prendere rischi durante la configurazione degli affari.

Se lo yen sale, perde quota invece il dollaro che avrebbe dovuto essere spinto dai dati sul settore immobiliare che in genere danno conto della ripresa economica del paese. Invece questi dati si sono mantenuti molto al di sotto delle aspettative.

Basta pensare che nei riguardi del dollaro hanno guadagnato terreno anche il dollaro australiano e quello canadese.

L’euro, infine, delude molto le aspettative e perde quota rispetto a tutte le valute “maggiori”. Sembra che l’accordo sulla Grecia sia stato tradotto in tanto entusiasmo tutto insieme ma gli investitori hanno bisogno di maggiori rassicurazioni.

Gli USA contro la CINA sul mercato ForEX

 Per una questione diplomatica che non dobbiamo nemmeno spiegare, gli Stati Uniti non muoveranno un’accusa ufficiale all’indirizzo della Cina, ma sembra che siano convinti comunque del fatto che il governo cinese manipoli la sua valuta per avvantaggiarsene a livello commerciale.

In questo modo la Cina ottiene maggiori profitti a discapito dei suoi interlocutori, per esempio gli Stati Uniti, ma anche tutti i paesi che per gli scambi hanno deciso di usare il dollaro americano.

Il Tesoro americano ha spiegato che lo yuan, la moneta cinese, è sempre troppo sottovalutata ma allo stesso tempo, non ci sono delle prove certe sulla manipolazione della valuta. Il governo americano ha però invitato la Cina a mettere in campo delle riforme o meglio delle politiche per apprezzare la valuta rispetto ai sui concorrenti. Un modo per non incorrere tra l’altro nelle sanzioni commerciali da parte dell’America.

Gli analisti critici all’indirizzo della Cina hanno detto che questo paese continua a mantenere la moneta al di sotto di una certa soglia per favorire le esportazioni e rendere competitive con i flussi degli altri paesi. Come? Riducendo il livello d’intervento sul mercato valutario.

Una strategia portata avanti dal terzo trimestre del 2011 al fine di ottenere un cambio flessibile.

Sterlina e dollaro USA: chi li smuove?

 Il mercato valutario, generalmente, subisce l’influenza di alcuni dati, pubblicati anche in maniera periodica, che spiegano un po’ meglio qual è la situazione economica e finanziaria dei paesi. Abbiamo considerato cosa potrebbe influire oggi sulle quotazioni dello yen, del dollaro neozelandese e di quello australiano, del franco svizzero.

Adesso prendiamo in considerazione gli eventi che potrebbero incidere invece sulle quotazioni della sterlina e del dollaro americano.

Per quanto riguarda la sterlina ci sono almeno due eventi da monitorare. Il primo sono i prezzi degli immobili Nationwide che, secondo gli analisti, hanno un medio impatto sulla valuta. In pratica l’indicatore in questione fa capire se c’è stato un cambiamento medio dei prezzi degli immobili. Se c’è un aumento, in genere, gli investitori sono attratti e la sterlina guadagna terreno.

Ma dalla Gran Bretagna arriva anche la notizia della Bank of England che ha pubblicato un rapporto sulla stabilità finanziaria del paese. Con questo documento si cerca di capire quali sono i rischi per il settore finanziario del Regno unito. Ci potrebbero essere momenti di grande volatilità.

Il dollaro USA sarà invece influenzato dai dati sul PIL preliminare che dovrebbe fare una fotografia della crescita economica degli Stati Uniti. e poi anche dall’indice che misura sia le vendite pendenti del settore immobiliare, sia la richiesta dei sussidi di disoccupazione. Si evince dall’analisi un possibile effetto rialzista anche per il dollaro.

Cosa influirà sul mercato valutario oggi?

 Per il mercato valutario, quella di oggi, è da considerarsi una giornata molto intensa perché andando a guardar bene l’agenda economica, scopriamo che saranno diffusi dei rapporti che riguardano il Giappone, la Nuova Zelanda, l’Australia, il Regno Unito e la Svizzera.

Cerchiamo di capire bene che dati saranno diffusi e che effetto possono avere. Per il Giappone saranno pubblicati i dati sulle vendite al dettaglio e gli analisti, che hanno tirato un sospiro di sollievo a settembre quando l’indice era al +0,4 per cento, sia aspettano oggi una flessione dello 0,7 per cento. Lo yen potrebbe essere influenzato da tali notizie.

Il dollaro neozelandese, invece, potrebbe essere scalfito dalla pubblicazione dell’indice che misura lo stato di salute dell’economia interna, redatto dalla banca centrale del paese. Se questo indice raggiungerà un valore superiore alle aspettative, allora il dollaro dovrebbe crescere.

Il dollaro australiano sarà invece “toccato” dalla pubblicazione dei dati sugli investimenti del settore privato che dà il polso dell’andamento futuro delle attività economiche. Gli analisti si aspettano un calo del 2,1 per cento.

La Swiss National Bank pubblicherà oggi i dati sul PIL svizzero del terzo trimestre del 2012 e ci aspetta un lieve miglioramento dello 0,2 per cento, rispetto alla contrazione che si era rilevata nel secondo trimestre dell’anno.

Il rendimento dei nostri Bot

 I titoli del debito pubblico a breve scadenza, emessi dal Tesoro italiano, sono tornati ai livelli di rendimento che avevano prima della crisi. La notizia fa sicuramente piacere allo stato che s’indebita meno nei confronti di chi ha provato a speculare sull’Italia comprando Bot, ma allo stesso tempo non fa altrettanto piacere agli investitori.

La Banca d’Italia – che ha fatto l’ultima comunicazione sui Buoni Ordinari del Tesoro, ha detto che il Mef ha piazzato i 7,5 miliardi di euro previsti di Bot a sei mesi. Questa occorrenza ha determinato un calo del rendimento loro sotto la soglia dell’1 per cento, una cosa che non succedeva da più di due anni. Si è passati quindi da un rendimento dell’1,347% ad un rendimento dello 0,919%.

La Banca d’Italia ha comunicato anche che questa notizia positiva ne segue un’altra relativa all’asta Ctz che ha fatto registrare rendimenti in discesa. Più nel dettaglio si dice che i titoli assegnati sono stati 99.538 a fronte di richieste 1,65 volte più numerose.

Il risultato dell’asta dei Bot ha contribuito anche all’abbassamento dello spread che è sceso sotto i 330 punti base arrivando fino a quota 325. Il rendimento, in questo caso, si è fermato al 4,66 per cento.

Quasi tutti gli analisti e i commentatori di sono dichiarati contenti del risultato ottenuto nell’asta.